martes, 16 de febrero de 2010

Ragazzi senza ambizioni, e la famiglia dove è?

Siamo nell’epoca dei piaceri, dei consumi, nella società dei contatti tramite il social network per Internet dove “tutto deve essere fatto con grande velocità”, come dice la pubblicità di un’agenzia pubblicitaria, che leggo adesso nella rivista di un treno veloce tra Roma e Milano mentre scrivo quest’articolo.
Che effetto hanno questi modi di vivere nei ragazzi e i giovani? Il limite di quello che si ascolta per l’i Pod molte volte non c’è, lo stesso per quello che si vede nelle trasmissioni 24 ore su 24 ore della Tv satellitare, e nell’internet con ore di navigazione “senza limiti”.

Un caro amico milanese e educatore mi ricordava l’altra volta che i muri di una casa non bastano per sostenere la famiglia. Il punto di riferimento ci deve essere sì o sì, qualcuno che aiuti a regolare e interpretare, spiegando, quello che si vede nei media. Il tempo per riunirsi a casa ci deve essere. I ritmi della società di oggi vanno a passo con la tecnologia, in una massa mediatica, dentro di spazi troppo privati, che perdono il legame con l’altro, con il territorio, con il senso di stare in rapporto con gli amici, la famiglia, la comunità.

C’è il contatto ma non la comunicazione. La mia intenzione qui è mettere alla luce il disagio che vedo in questi anni nelle grandi città italiane, dove i ragazzi pare che non riescano ad avere “stimoli, ambizioni, passioni”. Quando uno chiede il perché? Sorge la rabbia, il malcontento, il risentimento, la malinconia, perché vengono fuori momenti, spazi di vita dove non c’erano i genitori.

Invece, la presenza dei genitori è chiave per riempire di valori, desideri, amore, affetto, rispetto la vita quotidiana dei ragazzi. Non lasciateli da soli, non lì fatte riempire i tempi vuoti della giornata, con solo messaggi mediatici: accompagnateli, siate presenti per quanto difficile e faticoso sia.

Perché questa poca voglia di non fare le cose che vedo nei ragazzi di oggi, senza stimoli da parte della famiglia per andare avanti, dove il rapporto salta al minimo richiamo d’attenzione di un padre o madre al proprio figlio o figlia, è il sintomo di un rapporto frammentato e di un senso di famiglia in difficoltà (o in fase di ricomposizione) di una rabbia contenuta da parte dei ragazzi, risultato di silenzi, malinconia e solitudine riempita con eccessi materiali, vestiti, videogiochi, soldi a cambio di pochi impegni, di lasciare stare.

Dalla mia esperienza di lavoro con ragazzi in differenti contesti culturali, privati e collettivi, in centri d’accoglienza, in mezzo a mercati popolari, nella città e nei racconti che ho sentito dei genitori disperati per il futuro del proprio figlio maggiorenne, vedo una costante.

Un comune denominatore: relazioni interfamiliari messi alla prova con diversi eventi, tali come la migrazione, il lavoro, il divorzio, la devianza, la mancanza di morale, la droga, la violenza, la disoccupazione, l’incomprensione dei genitori, la micro politica difficile della vita con i fratelli, dove i figli assorbono tutto come spugna e lamentano il colpo, arrabbiandosi per l’indifferenza, per una parola non detta, per una domanda non fatta, perché i suoi non sono andati più in là di un come stai tutto bene? e dedicare più tempo a sentire la risposta. Comunicare non è solo un contatto, bensì esserci, stare presente.